LA MALATTIA MENTALE IN FAMIGLIA
Quando la malattia mentale irrompe nella famiglia si genera una sorta di effetto a cascata: sta male una sola persona, ma soffre l’intero nucleo.
Basti pensare come possono stare, o che vissuti provare, i genitori di una ragazza anoressica o di un giovane schizofrenico.
Senso di colpa, paura, angoscia e rabbia sono i principali elementi dell’atmosfera domestica.
I familiari, travolti da un senso di impotenza nei confronti della malattia mentale, cadono nella disperazione fomentando a loro volta un clima disfunzionale all’interno della casa.
Il problema è che proprio tale clima può intensificare la sintomatologia del ragazzo, aumentare il rischio di crisi e ricadute o indebolire i benefici della terapia.
Perchè accade ciò?
Per rispondere a questa domanda proviamo a pensare alla persona che soffre di una malattia mentale come “senza pelle”.
Mi spiego meglio.
Immaginate quanto male farebbe anche la carezza più delicata su una ferita … su una zona senza pelle appunto.
Allo stesso modo, litigi, conflittualità, tensioni in famiglia provocano una profonda sofferenza nella persona malata che si somma a quella già presente e ne intensifica la sintomatologia.
Il compito dei familiari è dunque quello di creare un clima sereno ed equilibrato in cui far vivere la persona, malgrado la malattia. Per questo si rende necessario un supporto specifico alla famiglia.
E’ evidente ormai come un intervento focalizzato esclusivamente sul ragazzo e sulla patologia non può essere efficace fino in fondo per sanare quella situazione così complessa determinata dalla malattia mentale.
COME AIUTARE LA FAMIGLIA
Proprio perché frequentemente la persona sofferente vive in casa, è fondamentale che i familiari sappiano far fronte alla malattia mentale e gestire le crisi della quotidianità.
In altre parole, i familiari devono essere consapevoli al fine di costruire una relazione adeguata ed essere di supporto nel percorso di cura e riabilitazione: consapevoli del disturbo, ma anche delle parti sane e delle risorse residue che la persona ha per far fronte al proprio disagio.
È necessario dunque che i familiari siano informati sulla patologia e formati alla relazione sana. Proprio per questo è stato costruito negli anni ‘70 un intervento ad hoc: la psico-educazione.
L’INTERVENTO DI PSICOEDUCAZIONE RIVOLTO AI FAMILIARI
La psicoeducazione nasce negli anni ’70 con Ian Falloon che per primo fece un’osservazione apparentemente semplice, ma che segnò la svolta nel mondo della salute mentale e nel trattamento delle patologie gravi.
Il medico intuì che nessun intervento sulla persona con malattia mentale può essere sufficiente se non si coinvolge in parallelo la famiglia.
Questo non vuol dire mettere tutti in terapia! Significa, a mio parere, “prendersi cura di chi si prende cura”.
Nello specifico la psicoeducazione si divide in due fasi:
- Fase informativa, in cui il familiare viene appunto “informato” sulla patologia, sui sintomi, sul trattamento, sulla sua evoluzione, sulla prognosi. Questa fase è importante per spiegare al familiare, in modo preciso ma semplice, con cosa sta avendo a che fare al fine di diminuire l’ ansia e l’ angoscia che tutti proviamo di fronte a qualcosa di sconosciuto.
- Fase formativa, ovvero “forma” il familiare alla costruzione di una relazione sana col congiunto malato attraverso l’apprendimento delle tecniche di ascolto attivo, comunicazione efficace e problem solving.
Gli incontri sono tenuti da psichiatri e psicologi esperti e possono coinvolgere o un gruppo di familiari o un singolo nucleo.
Numerose ricerche in ambito nazionale e internazionale reputano la psicoeducazione come un intervento di eccellenza per il supporto alla famiglia. Le evidenze scientifiche riportano risultati significativi sul miglioramento del clima familiare e di conseguenza sulla diminuzione dei tentati suicidi, delle recidive e un miglioramento complessivo degli esiti terapeutici.
di Elisa Buratti