GHOSTING: MANUALE “DISTRUZIONI“
Il ghostig, ovvero chiudere una relazione semplicemente sparendo nel nulla, è ormai diventato il degno sostituto delle vecchie cantilene: “non sei tu, è un mio problema”, “ti vedo come un’amica/amico”, “meriti di meglio”.
Siamo arrivati a un punto in cui per sgattaiolare via da una frequentazione o anche solo impedirne la possibile evoluzione, è sufficiente bloccare il contatto sul telefonino o cancellarsi da un’App.
Almeno, fino a qualche anno fa, la persona poco convinta, era obbligata ad affrontare la realtà: prepararsi un breve discorso, mimare un’espressione costernata, beccarsi qualche insulto o qualche lacrima. Insomma un minimo di espiazione c’era. E soprattutto la persona lasciata poteva farsene una ragione. Veniva messo un punto chiaro, magari poco credibile, ma la storia era chiaramente chiusa. Non se ne fa nulla, ognuno per la sua strada.
Oggi le cose sono completamente diverse.
Chi fa ghosting, non ci mette la faccia e soprattutto non mette la parola fine. Lascia un vuoto aperto.
Così, quel vuoto, viene presto riempito dalla persona lasciata con pensieri catastrofici “e se gli fosse successo qualcosa?”, o rimuginazioni ossessive che ripercorrono ogni singola parola dell’ultimo discorso fatto insieme alla ricerca di indizi, o aspettative di ritorno “perché non si sparisce così… avrà solo bisogno di tempo”.
Una serie di interpretazioni, ipotesi, congetture prolificano per dare un senso a un atteggiamento apparentemente inspiegabile, buttando la persona lasciata in un vortice di insicurezze e sfiducia.
LA VITTIMA DEL GHOSTING
La cosa paradossale infatti è proprio il vissuto più profondo che prova la vittima di ghosting. Vergogna, disistima, umiliazione. Essere lasciata senza neanche una parola, rimanda all’idea di non valere abbastanza, di essere così poco importante da non meritare neppure una frasetta in vecchio stile, ma comunque indice di un piccolo sforzo e coraggio.
“Arrivo a pensare che piuttosto che il silenzio mi andrebbe bene anche una bugia o una scusa banale” racconta la signora elegante seduta di fronte a me incredula che quell’uomo maturo così gentile e premuroso, si sia dissolto nel nulla al terzo appuntamento.
Certo c’è chi riesce a farsene presto una ragione, ma non per tutti è così facile. Il modo in cui la persona reagisce al ghosting affonda le radici nell’immagine e nella considerazione che si ha di se stessi.
Una persona con una bassa autostima o profondamente bisognosa dell’approvazione dell’altro per esempio, vedrà nel ghosting la prova della propria sostituibilità e sacrificabilità. Una chiara conferma del proprio disvalore. Per questa ragione non è tanto importante chi è sparito, o dopo quanto tempo, ma cosa ci ha lasciato dentro.
I PROTAGONISTI
Nella stanza d’analisi mi sono capitate diverse tipologie di persone che usano il ghosting come chiusura di un rapporto.
Tendenzialmente sono uomini, ma il sesso non è la maggiore discriminate, come non lo è l’età; non è una questione di immaturità anagrafica.
Racconto dopo racconto, ho riconosciuto dei tratti specifici nella persona e nella modalità di gestire la realtà, relazioni comprese.
E allora se dovessi scrivere un manuale “distruzioni” i miei protagonisti sarebbero:
Il narcisisita: sparisce perchè il suo bisogno di conquista e seduzione è superiore alla sua empatia. Il suo nucleo profondo di disistima e inadeguatezza, coperto da una finta grandiosità, lo porta a cercare continue conferme esterne. Il bisogno di piacere per piacersi è un’ impietosa condanna che non gli permette di fermarsi con una persona. Le vuole tutte, anzi le deve avere tutte.
Il consumista moderno: sparisce perché mentre frequenta una persona, sente che sta perdendo altro. Vive nell’angoscia che stare dentro a relazione precluda altre esperienze fantastiche di vita. Vittima inconsapevole di una società frenetica in cui tutto è a portata di un click e il bello sta solo nel nuovo, sfoglia le App di incontri come cataloghi della Apple alla ricerca dell’ultimo modello da provare. Ciò che lo spinge però non è il desiderio di nuove esperienze, ma l’angoscia di non farne.
Il non autorizzato: sparisce perché implicitamente sente di non avere il diritto di interrompere una frequentazione che non gli interessa. Insomma non riesce a dire i “no”. La paura di ferire l’altra persona e il disagio provato nel dichiarare una verità scomoda “non mi piaci” lo porta a sottrarsi dalla relazione repentinamente e senza spiegazioni. Un cerotto strappato velocemente per fare meno male. Il suo timore di ferire, di sentirsi cattivo o indifeso di fronte alla reazione dell’altro lo fa sentire così imprigionato, che l’unico modo per evadere è sgattaiolare via senza lasciare traccia.
Il truffato: sparisce quando intuisce la violazione del patto iniziale. Se il “contratto implicito” parla di una innocua frequentazione, non si può chiedere di più: niente esclusiva, niente passeggiata mano nella mano, niente presentazione agli amici, ecc. Pena: la rescissione del contratto con effetto immediato. Se saltano gli accordi iniziali, salta la frequentazione. Esercita un suo diritto insomma. Se le regole del gioco vengono repentinamente cambiate, il “truffato” si sente preso in giro, e automaticamente l’altro si trasforma nel truffatore da cui scappare a gambe levate e senza rimorso.
Insomma il ghosting fa male. Fa male a chi lo fa e a chi lo riceve. Uccide la speranza di un amore, ci allontana dalla fiducia che nel mondo esistano ancora persone adulte e solide, capaci di cura e rispetto. il vero punto però lo troviamo nella famosa citazione di Winnicott “È un piacere nascondersi, ma è una catastrofe non essere trovati”.
Psicologa Psicoterapeuta