COME POSSIAMO CAMBIARE DAVVERO?
«Giorgia perché ha il cappotto?» Chiesi alla mia paziente, che si collegò dalla sua cucina per la seduta skype ancora imbacuccata. «Ero fuori! Ho fatto un aperitivo con i miei vicini, ognuno sul proprio balcone!» Rispose divertita. Da molto tempo non la vedevo ridere.
Marica invece l’aperitivo lo fa su whatsapp con le sue amiche di sempre, che però non vede mai. La regola è mangiare schifezze e bere prosecco, non troppo, perché la prossima spesa sarà tra una settimana e bisogna essere parsimoniosi.
Il pranzo della domenica per Mirko resta in famiglia, ormai anche i suoi genitori over 75 sono diventati iper-tecnologici e, pur di vederlo, hanno fatto sedere a tavola il tablet.
Stefania, tra una conference call e l’altra, ha fatto una torta al cioccolato e ha postato la foto agli amici che l’hanno ricoperta di complimenti. Finalmente ha staccato la testa dal lavoro e ha cucinato la sua coccola.
Ormai la nostra realtà è questa… tanti volti su uno schermo, che riempiono la casa di suoni, discorsi preoccupati e risate. Che coprono un mortifero silenzio, interrotto solo dalle sirene delle ambulanze.
L’OSCILLAZIONE TRA PAURA E SPERANZA
Stiamo vivendo dentro una continua oscillazione tra paura e speranza. Tra il lasciarsi andare alla tristezza e trovare un modo per reagire, provando a creare un movimento dentro l’immobilismo.
E così, mentre fino a un mese fa, avremmo voluto scagliare il cellulare fuori dalla finestra, oggi è diventato il nostro migliore alleato. Grazie a lui possiamo fare quella telefonata all’amico che rimandiamo da mesi, perché prima non avevamo tempo, e neanche voglia… se dobbiamo essere sinceri.
E così, mentre fino a un mese fa, avremmo voluto trasferirci su un atollo sperduto nel Pacifico, oggi ci manca la nostra quotidianità affollata di cose da fare e di gente da vedere. Ci manca il caffè al bar e anche il barista.
Un periodo traballante insomma, fuori e dentro di noi, che necessita di un equilibrio.
NON BASTA VIVERE UNA CRISI PER CAMBIARE
Tutti proviamo a cogliere la possibilità che si nasconde dietro la crisi. Chi riscopre degli antichi piaceri abbandonati, chi ne inventa di nuovi. Chi riordina le priorità della vita, chi capisce che il detto “chi si ferma è perduto” non è poi una grande verità e si concede più tempo per sé.
Siamo tutti impegnati nella costruzione di un equilibrio, ma alcuni sembrano riuscire meglio di altri. Cogliere un’opportunità dentro la sofferenza, infatti, non è automatico.
Non basta presenziare a un momento drammatico per diventare persone migliori.
Non è la sofferenza a cambiarci, ma quello che ce ne facciamo. Il dolore, la paura non sono elementi magici. Non sono un incantesimo che ci trasforma. Sono elementi da elaborare.
Mi spiego meglio con un semplice esempio.
È bello oggi riscoprire il piacere di fare una torta, ma la domanda è: perché nella vita “normale” questo desiderio non c’è? E attenzione! Non parlo di tempo. Parlo di desiderio. Dare la colpa all’assenza di tempo è un grosso alibi che non ci permette di cogliere la reale motivazione. Perché è necessario che un intero mondo si fermi per concedersi un semplice piacere?
E allo stesso modo, è bello oggi trovare il tempo e la voglia di chiamare il mio amico per scambiare quattro chiacchere, ma la domanda è: perché nella vita “normale” l’autentico piacere del condividere, di raccontarsi e ascoltare non trova uno spazio? Perché quella telefonata diventa l’ennesima pesantissima cosa da fare dentro una lunghissima lista di cose pesantissime da fare?
In altre parole, la pandemia diventa realmente una possibilità di evoluzione se ci spinge a interrogarci sulla vita che ci siamo costruiti e su come la affrontiamo.
Alcuni dovranno chiedersi perché sono così sopraffatti da un castrante senso del dovere, tanto da non potersi concedere uno spazio di piacere.
Altri sul perché sono così arrabbiati e stanchi tanto da provare un costante fastidio nei confronti dell’altro e delle cose.
Altri ancora sul perché restano così incastrati in una vita che li rende infelici tanto da considerare i divieti dei decreti come una boccata d’ossigeno, un’autorizzazione a scendere dalla giostra.
il primo passo per cambiare davvero, dunque, è porsi le giuste domande e fare una profonda riflessione su di sé. Il secondo è fare qualcosa di diverso.
La consapevolezza è fondamentale, ma non è sufficiente. Da ex fumatrice posso garantirvi che ho sempre avuto la consapevolezza che il fumo uccide, ma non ho smesso per questo. Ho smesso perchè non ho più comprato le sigarette. Ho smesso perchè ho tollerato la fatica di cambiare.
Il cambiamento è un lavoro costante per non ricadere nelle vecchie soluzioni usate negli ultimi 20 o 30 anni.
Se non ci impegneremo davvero otterremmo solo l’effetto vacanza… passare l’agosto a costruire grandi progetti che puntualmente verranno abbandonati entro il 5 settembre.
E in questo caso, le torte, i libri e gli amici saranno solo dei piccoli punti di luce dentro un vivere buio, che presto si spegneranno senza lasciare alcuna traccia.
Un lontano ricordo di una bolla, in cui un mondo fermo, ci ha autorizzato a cambiare per un po’, per poi ritornare a essere quello che siamo sempre stati.
Psicologa Psicoterapeuta