LA DIPENDENZA AFFETTIVA
“Senza te non esisto più!!! Ho urlato al cielo…nulla ha più senso. Non c’è più. È andato via”, mi raccontò tra le lacrime la donna seduta di fronte a me.
Cosa può essere successo? Forse un lutto, una separazione o un divorzio.
No. Nulla di tutto questo.
Semplicemente un aspro litigio col partner, che furente, è uscito di casa sbattendo la porta alle sue spalle. Una brutta reazione certo, ma nulla di definitivo. Le loro litigate spesso finiscono così. Poi lui torna.
Eppure a volta basta un litigio, una telefona non risposta, un’incomprensione per gettare la persona nella più profonda angoscia abbandonica, quella terribile sensazione di non essere più amata e di non poter resistere a tutto ciò.
In questo caso possiamo dire che si è innescata la dipendenza affettiva.
COME FUNZIONA LA DIPENDENZA AFFETTIVA?
La dipendenza affettiva trasforma il partner in qualcosa che va oltre all’essere un compagno di vita. Lo rende indispensabile e onnipotente.
La persona grazie alla quale si sente di esistere. Che ci autorizza a esistere.
“È lui a rendermi felice, è lui a darmi un senso”.
Chi soffre di dipendenza affettiva ha bisogno dell’altro per “esserci”. È l’altro a legittimare bisogni, desideri, a sedare l’angoscia, a riempire il senso di vuoto. La sola presenza, anche se limitata, diventa fonte di gratificazione immediata. Una droga insomma, senza la quale si cade in astinenza.
“Basta anche un semplice messaggio di saluto… non importa se non mi dice niente… se non vuole sapere come sto … leggere solo un ciao mi fa star bene”.
Ma è proprio questo il punto: non tutto ciò che ci fa star bene ci fa bene veramente. Fumare una sigaretta, per esempio, mi fa star bene, ma non mi fa bene. Mangiare un’intera vaschetta di gelato al cioccolato mi fa star bene, ma non mi fa bene.
Detto questo, è importante capire dove si pone il limite tra amore e dipendenza, ovvero, quando un sentimento affettivo e umano si trasforma in una relazione disfunzionale o addirittura patologica.
Il problema nasce nel momento in cui, pur di non perdere l’amore, il dipendente affettivo è pronto a sacrificare ogni cosa, anche la propria dignità, a rinunciare a delle parti di sé, ai propri bisogni, offrendo una totale disponibilità, una devozione, al partner pur di garantirsi il legame.
Ha inizio così una relazione asimmetrica, priva di reciprocità, con ruoli rigidi e cristallizzati: il dipendente che chiede continue rassicurazioni e il partner che diventa potentissimo.
CHI E’ IL DIPENDENTE AFFETTIVO
Non amo il termine “dipendente affettivo” perché un po’ tutti siamo dipendenti in amore.
Ci sono persone, però, che perdono il limite tra una sana dipendenza intesa come: “ho bisogno di te perché ti amo” e una dipendenza patologica: “ ti amo perché ho bisogno di te”.
Queste ultime, sono persone che tendono a legarsi a partner narcisi, anaffettivi, manipolatori, con tratti aggressivi, svalutanti e ipercritici, a volte per una relazione soltanto, altre volte sembra lo standard.
Prevalentemente sono le donne a cadere in questo tipo di relazione, ma non è una questione di genere.
Se dovessi definire l’ identikit del dipendente affettivo mi viene in mente una persona insicura, che non si piace e non si sente amabile. Inconsciamente non si reputa degna di amore e dunque sente che non può legarsi a partner realmente interessati a lei o emotivamente disponibili.
Il suo modo di ragionare è distorto e caratterizzato da uno squilibrio della percezione di sé e dell’altro in cui emerge una chiara squalificazione e autosvalutazione contro l’idealizzazione del partner.
Per questo c’è attrazione verso partner pieni di sé, autoriferiti, decisionisti, che lasciano poco spazio alla condivisione… mi vien da dire perfetti per chi, come la persona dipendente, non riesce a definirsi e ha paura di non piacere se si mostra per quello che è.
Al partner viene delegato tutto.
In secondo luogo, per quanto possa sembrare paradossale, il dipendente affettivo teme le relazioni perché potenzialmente abbandoniche. Per questo non riesce mai a lasciarsi andare e a rilassarsi completamente, ma deve sempre stare all’erta, pronto alle contromisure necessarie per fronteggiare la minaccia della perdita.
È evidente che tutto questo allontana partner amorevoli e autentici per lasciare spazio a relazioni inadeguate, insoddisfacenti.
Il punto di svolta per uscire dalla dipendenza affettiva è chiedersi perché ci si sente attratti proprio da questa tipologia di persona e cosa impedisce la chiusura di un rapporto così sofferente, sofferto e disfunzionale.
USCIRE DALLA DIPENDENZA AFFETTIVA
Quando le mie pazienti si sentono vittime di un destino infausto della serie: “ Perché capitano tutti a me?” o si convincono che al mondo non esistano più uomini “sani”: “Sono tutti uguali, non c’e più speranza”, capisco che è arrivato il momento di entrare a gamba tesa e mettere in discussione il loro modo di vedere le cose.
Queste intuizioni infatti rappresentano l’implicita decisione della donna di vedere chiaro e fare luce sul perché continuano a incastrarsi in relazioni che fanno male.
Per prima cosa è bene sottolineare che non esiste un vademecum per la guarigione dalla dipendenza affettiva.
Si diventa dipendenti per svariate ragioni che non possono essere generalizzabili e uguali per tutti.
Ogni persona ha infatti una propria storia di vita, arriva da un particolare tipo di famiglia e modello educativo, ha avuto uno specifico rapporto con i genitori, ha una propria personalità, carattere, limiti e risorse .
Insomma una persona sviluppa la dipendenza affettiva come soluzione alla propria storia di vita. E l’unicità della persona rende impossibile e riduttiva la generalizzazione.
Quindi più che dare risposte è importante farsi delle domande.
Nonostante questo mi sento sicura nel definire alcuni principi di base.
Primo tra tutti, la persona che soffre di dipendenza affettiva non uscirà mai da questo tipo di relazioni finchè non sarà disposta a riconoscere che il vuoto che sente non può e non deve essere colmato da altri. È necessario essere disposti a riconoscere che siamo noi stessi, in qualche misura, a costruire la nostra infelicità, reiterando relazioni fondate su basi altamente disfunzionali.
Secondo punto, è necessario essere disposti a lavorare su di sè, con un percorso di psicoterapia, per aumentare la propria consapevolezza e legittimarsi a esserci. Questo significa concedersi di avere e seguire i propri bisogni e desideri, imparare a stare in piedi da soli, a scegliere per sé e provvedere a se stessi.
Terzo passo, forse il più difficile, imparare a lasciare andare. A separarsi. Comprendere fino in fondo che non è restando pazientemente dentro la relazione di dipendenza che le cose cambieranno.
Se le cose continuano a peggiorare non è perché non avete fatto abbastanza sforzi. Non è facendo di tutto per il partner che lui imparerà ad amarvi in modo sano.
È solo attraverso questa responsabilizzazione che si potrà costruire una relazione sana. Non solo con l’altro, ma prima di tutto con se stessi.