NATALE: EMOZIONI, PENSIERI, DOMANDE
Emozioni.
Presto sarà Natale.
Alcuni, giocondi e inteneriti, da tempo ne stanno pregustando l’atmosfera.
Altri, percependone l’arrivo, avvertono da settimane un ansioso e irrequieto turbamento.
E c’è anche chi, figurandosi le imminenti feste, si sente invaso da una tristezza opprimente.
Qualche giorno fa sono incappata in una frase, che penso sia dell’insegnante e letterata americana Mary Ellen Chase, nata alla fine dell’Ottocento: “Il Natale, bambini, non è una data: è uno stato d’animo”. Non lo stesso per tutti, però, e non lo stesso ogni anno.
L’allegria e la tenerezza, la tristezza, la nostalgia, l’ansia, l’attesa e la sorpresa, la rabbia, la vergogna, la delusione: quante emozioni risveglia, il Natale.
Pensieri.
Perché? Perché il Natale dà vita a emozioni tanto discordi?
Il Natale parla di relazioni, di famiglia, di legami; parla di origini, di radici; parla di intimità.
Come un musicista, sollecita le corde del nostro presepe interno, ci riporta indietro nel tempo. È un rito che si ripete e che si rinnova. È un narratore che, ogni anno, fa vibrare la nostra anima con le sue parole.
Ha dentro pensieri sottili sul senso della vita. Questi pensieri vengono spesso ottenebrati dalla malattia della nostra società, tutta indaffarata a inventare bisogni nuovi da soddisfare a un prezzo (economico ed emotivo) altissimo. Resistono, però, perché fanno parte della natura dell’uomo; magari taciuti alla nostra coscienza, ma resistono. Esistono.
Il Natale, ciclicamente, porta alla ribalta tutto questo: le narrazioni che noi facciamo sulla vita.
Domande.
Il giorno di Natale, o la vigilia, dove sarò? In una chiesa? Su un’isola tropicale? Nei luoghi della mia infanzia? Perché?
E con chi? Sarò insieme a qualcuno oppure da solo? Lo sarò per scelta oppure perché sentirò di doverlo fare? Oppure ancora: mi parrà di non avere alternative? Mi sentirò comodo oppure a disagio? Spontaneo e sincero oppure costretto e affettato?
C’è una sedia vuota alla mia tavola? Potrò dire che mi addolora? Saprò esprimere ciò che sento? Lo vorrò fare? Lo nasconderò?
Cosa mi aspetto dalla giornata di domani? È un’illusione? È mai esistito o era un sogno, un ideale? Quando ha cominciato a formarsi quel deserto amaro che già immagino? Ho il potere di ricavare un’oasi buona, una parentesi di tranquillità, in una giornata che il mondo festeggia?
Di che cosa ho paura? Perché provo una gioia così smisurata? Che cosa mi fa arrabbiare?
Sono solo? Mi sento amato? Sono solo di me oppure mi voglio bene?
E una piccola candela accesa.
Il Natale è come uno specchio: ci aspetta, una volta all’anno, per scoprire parti del nostro animo e della nostra storia. Noi sappiamo che è lì, dietro l’angolo, e questa consapevolezza sollecita pensieri ed emozioni.
Per quanto questi pensieri e queste emozioni siano diversi, ognuno di noi domani potrà almeno intuire alcuni dei vissuti altrui. Già Terenzio, nel II secolo a.C., scriveva “Homo sum, nihil humani a me alienum puto”: sono un uomo e dunque niente di ciò che è umano mi è estraneo. Anche le storie di vita più diverse, in qualche punto si somigliano: ognuno, ad esempio, ha dentro di sé un presepe, con tutti i bisogni che esso rappresenta. In questo senso, nessuno è solo e questa consapevolezza può farci compagnia.
Qualche settimana fa, una persona che incontro in studio mi ha detto che, diversamene da quanto accadeva negli anni passati, l’arrivo delle stagioni fredde non ha suscitato in lei la consueta cupezza, ma un desiderio di affettuoso e caldo ritiro.
“È come se avessi dentro una piccola candela accesa…”
Psicologa Psicoterapeuta
Centro Clinico di Psicologia Caltanissetta Buratti