QUANDO IL BAMBINO NON ARRIVA
Sentiamo sempre più spesso parlare di childfree e childless (perché a noi italiani gli inglesismi piacciono tanto) per definire quelle persone che non hanno figli, chi per scelta, chi perché non ha potuto averne.
Quale sia la motivazione non importa, è importante però parlarne, dare voce ai vissuti e ai pensieri che accompagnano una dimensione di vita così delicata e complicata.
Ci sono donne che si sono sentite libere di non essere madri, che nella vita volevano altro e altro hanno perseguito.
Donne che hanno sofferto il peso della scelta, affossate dai giudizi di chi dall’alto le ha etichettate egoiste e immature… e ne hanno sentiti così tanti di quei commenti, che per un po’ ci hanno pure creduto.
Donne che un bambino lo avrebbero tanto voluto, ma non è arrivato e sono sprofondate in quello stesso buco nero che sentivano dentro la pancia. Ed è proprio a queste ultime a cui oggi vorrei dar spazio. Il mio scritto nasce dalla voce di chi deve fare i conti con quel bambino che non arriva.
LA SCOPERTA DEL DESIDERIO
Quel bambino, che fino a poco fa non trovava spazio nella nostra vita, oggi inizia a farsi largo delicatamente tra un pensiero e l’altro.
Iniziamo anche a comportarci e a pensare in modo nuovo, strano. I bimbi piangenti al tavolo del ristornate che fino a qualche tempo fa ci infastidivano, oggi sono diventati miracolosamente teneri.
Meglio di un radar, riusciamo a intercettare decine di carrozzine nel raggio di pochi metri, come se tutte le donne della città avessero partorito nello stesso istante. Anche le nostre amiche improvvisamente restano incinta. Ma la cosa più importante è che iniziamo a fantasticare su come sarebbe la nostra vita a tre e un velato sorriso si schiude tra le labbra, per la prima volta. La maternità, inizia a entrare nel mondo del possibile. Prende forma il desiderio.
Allo stesso tempo però sono tante le domande che affollano la testa: “riuscirò a organizzarmi con il lavoro?”, “Avrò ancora spazio per me?”, “Sono pronta ad assumermi una responsabilità così grande?”; “E poi il pensiero più minaccioso e imperante”; “E se poi mi pento?”
Seppur senza alcuna risposta, decidiamo che è il momento di provarci affidandoci al caso, se accade… accade. L’unico modo per sconfiggere la paura, a volte, è solo non buttarsi. Come dico sempre ai miei pazienti, non possiamo aspettare di essere pronti, prima di fare qualcosa… io probabilmente starei ancora studiando il primo esame di psicologia.
QUANDO IL BAMBINO NON ARRIVA…
E dopo aver brillantemente superato tanti pensieri e conflitti interni, il bambino non arriva.
In alcuni casi è un problema di infertilità, altre volte, semplicemente, è passato troppo tempo.
Scaraventate in un salto temporale, realizziamo improvvisamente che il corpo ha accusato lo scorrere degli anni molto più della nostra testa, che è rimasta ferma ai 25, con ancora tanta voglia di fare, vivere e progettare.
Improvvisamente realizziamo che di tempo ne è passato e che nel mentre la vita si è riempita di cose. Abbiamo risolto una miriade di problemi, trovato il partner giusto dopo una serie di tentativi fallimentari, realizzato sogni, desideri, siamo diventate più forti, ci sentiamo più capaci. È vero, quegli anni sono passati e ora li vediamo tutti.
DAL DESIDERIO ALL’ANGOSCIA DI MATERNITA’
Avere un bambino diventa un pensiero costante, soprattutto quando sembra non arrivare mai.
Molte donne ci provano con una forza straordinaria iniziando stremanti percorsi di fecondazione assistita, in cui tutto segue un rigido calendario e tutto viene pianificato intorno a questo: quando si fanno le analisi, quando si fanno le cure, quando si fa l’amore, quando si va in vacanza.
Il percorso è lungo, costellato da picchi di speranza e crolli di delusione. Perché la forza della donna e tutto l’amore del partner non sono sufficienti. Quel bimbo ancora non arriva.
Da qui la crisi diventa sempre più profonda: sentimenti di inadeguatezza, di vuoto e di incapacità si scatenano nella mente e nella pancia della donna, come se restare incinta fosse la prova di chissà quale talento o valore. “Perché tutte riescono e io no?”, “Perché quello che per tutti è facile e naturale per me è cosi complicato?” e ne potrei scrivere altre mille di queste frasi pronunciate da donne incredule e confuse.
Ed ecco come il vissuto legato alla maternità si trasforma, non stiamo più parlando del desiderio di diventare mamme, ma dell’angoscia di non esserlo.
Ogni piccola cosa è un granello di sale sulla ferita, le amiche incinta, le carrozzine per strada, i bambini chiassosi all’uscita dell’asilo.
Si rimugina su una vita che poteva essere, ma non sarà. E ci si sente sole. Anche dentro la coppia.
In queste situazioni, è possibile, tuttavia recuperare il senso della propria identità attraverso un lavoro personale sul proprio sé e, quando necessario, affrontare un percorso di psicoterapia.
QUANDO IL VUOTO SI TRASFORMA IN SPAZIO
Credo che il passaggio più complesso per una donna quando il bimbo non arriva, sia ampliare il concetto di generatività aprendosi a forme che vanno al di là dell’avere figli. Non si tratta di un banale piano B, ma di qualcosa di molto più complesso e ricco.
La radice greca di generare -gignomai- significa essere, far essere, far accadere. Quella capacità tipicamente umana di dare alla luce, di attuare un processo creativo, di contribuire attivamente nel far germogliare qualcosa di buono e di prendersene cura. Un concetto dunque che va molto oltre la sfera del biologico.
È un insegnante che genera nei ragazzi l’attitudine a pensare e a pensarsi per creare una società virtuosa, una manager che genera nei suoi collaboratori le competenze per diventare migliori di lei, una negoziante che genera benessere coinvolgendo i colleghi nella raccolta di beni per i più bisognosi, una sopravvissuta che genera speranza unendo i puntini della propria vita nella scrittura di un romanzo. E allora capiamo come la generatività è in primis un movimento evolutivo dentro noi stesse. È il generare noi stesse generando.
Psicologa Psicoterapeuta
Centro Clinico di Psicologia Caltanissetta Buratti