Stress, stress e ancora stress.
Sembra impossibile potersi fermare.
È paradossale quanto sia più facile riempirci la giornata di impegni, incastrare ogni attività, piuttosto che fermarci e riposare.
Fermarci ed eventualmente anche annoiarci.
Siamo ormai diventati abilissimi a non lasciare nessuna casella vuota nell’agenda. Possiamo fare tutto. Arrivare ovunque. Sopportare ogni stress.
PERCHE’ TUTTO QUESTO STRESS?
Per prima cosa bisogna ammettere che viviamo in una società dove tutto è troppo veloce. Dove non esiste il valore del tempo o la concezione del tempo come valore.
Mi viene in mente la soddisfazione di una giovane donna dalla carriera brillante e dalla vita piena di stress e impegni, quando mi raccontò, con aria sollevata, che finalmente anche il supermercato sotto casa sua sarebbe rimasto aperto 24 ore su 24.
Una vera grazia!
Basta frigorifero vuoto! Avrebbe potuto fare la spesa in ogni momento, dalla mattina alle 7 prima di andare a lavoro, fino alla sera, dopo le 22 al suo rientro.
O ancora, quante volte, in psicoterapia, ascolto persone lamentarsi della domenica, considerata paradossalmente, la giornata più faticosa della settimana proprio perché manca di ritmo, di doveri, di cose che vanno fatte per forza.
Una domenica, dunque, che ci mette in contatto con la fatica del fermarsi o anche solo del rallentare.
COSA IMPEDISCE DI FERMARCI?
Rispondere a questa domanda è difficile perché le spiegazioni sono diverse.
Molte volte, non possiamo fermarci perché ci sentiamo sovrastati da cose da fare e non riusciamo a mettere una priorità: Tutto diventa una cosa da fare subito.
Altre volte, mossi da un insano senso del dovere misto a una tendenza al sacrificio Tutto diventa una cosa che solo noi possiamo fare.
Ma è proprio cosi?
O forse la domanda da porsi è: quanto ci costa il “non fare”?
Sembra paradossale, ma per non fare ci vuole un grosso impegno, una forte motivazione.
Bisogna concederselo.
Dobbiamo legittimarcelo.
E soprattutto… dobbiamo sconfiggere il senso di colpa legato al piacere. Quella fastidiosa sensazione scaturita dal fatto che invece di fare qualcosa di utile, “buttiamo via il tempo” … godendoci un po’ di relax… il dolce far nulla. Che se non c’è’ stress è perchè non stiamo facendo abbastanza.
Infatti, se provassimo a riflettere davvero su tutte le cose che facciamo, ci renderemmo conto che, molte di queste, potrebbero essere evitate o comunque ridotte e delegate.
Potremmo dunque arrivare a capire, che in fin dei conti, ciò che impedisce di fermarci è il disagio nel trovarsi senza niente da fare, di fronte a un vuoto, alla solitudine dell’esserci.
LA PAURA DEL VUOTO
Per questa ragione dobbiamo sempre avere le mani in pasta. Prendiamo per esempio la domenica.
Chi “usa” la domenica per le pulizie di fino: “Ho pulito le fughe del pavimento… vanno fatte!”.
Chi va a vedere una mostra senza alcun interesse “Odio l’arte contemporanea, ma la domenica non posso stare sul divano”.
Chi passa la giornata a mangiare: “Ho fatto fuori biscotti, patatine… mi sento in colpa, ma mi annoiavo”.
Chi si porta avanti col lavoro “La domenica posso lavorare tranquillo senza i colleghi”.
Chi fa i compiti con i figli “Dovevo ascoltare la lezione di mio figlio perché domani siamo interrogati in latino.. non capivo nulla, io non ho mai fatto latino ”.
Insomma, che sia per senso del dovere, senso di colpa, senso di onnipotenza, sacrificio e stoicismo o per un pilota automatico che non si riesce a disinnescare, si è perso il valore del fermarsi e lasciare uno spazio vuoto.
LA PIENEZZA DEL VUOTO
La cosa che più mi affascina della mia professione è che la psicologia è una scienza relativamente nuova, che attinge molti dei suoi concetti da discipline antiche.
Il vuoto, per esempio, è un concetto largamente esplorato dalla fisica e dalla filosofia.
Aristotele parlava di horror vacui, proprio per definire questo concetto: “natura abhorret a vocuo” la natura rifugge il vuoto, perciò lo riempie costantemente. Ogni gas o liquido tenta di riempire lo spazio, evitando di lasciarne porzioni vuote.
Ecco qui! Noi facciamo la stessa cosa. Tentiamo di occupare tutto. Non lasciare spazi vuoti, perché anche noi rifuggiamo il vuoto. Lo temiamo.
Sant’Agostino non era da meno, nelle Confessioni, spiega il vuoto come un’entità tangibile che rappresentava uno stato senza Dio. Identificato con il diavolo, il nulla costituiva la forma più estrema del peccato e del male.
Tra tutti, quello che più da’ uno sguardo di speranza è Leucippo, che nel 500 a.C, aveva dato una lettura molto più simile a quella psicologica che vi propongo: il vuoto è necessario per permettere i cambiamenti e i movimenti.
BASTA STRESS
Forse il punto è proprio questo. È il costruire uno spazio vuoto che ci permetta di entrare realmente in contatto con noi stessi, coi nostri bisogni reali e coi nostri desideri.
E’ quando non si ha niente da fare che ci si può concedere semplicemente di esserci, per ciò che siamo.
E magari potremmo accorgerci che, anche senza tutto il nostro fare, le cose vanno avanti.
Che le persone che ci stanno accanto continueranno a stimarci e volerci bene anche se non facciamo qualcosa per loro.
Che il nostro non fare, il nostro silenzio può essere molto più pieno e arricchente di tutte le attività.
Che è il vuoto a permetterci di cambiare introducendo nella vita ciò di cui realmente abbiamo bisogno. Quello che davvero desideriamo.
Se tutto è pieno e occupato, non c’è spazio. E senza spazio si è incastrati.